Il presente volume vuole costituire per la Caritas Romana un segno tangibile di impegno e riflessione sul tema dell’assistenza ai “barboni” letto alla luce della loro condizione esistenziale. Per questo è anche un contributo volto a sfatare miti e pregiudizi che ancora oggi, in una realtà metropolitana più densa di drammi personali e quindi di incremento dei fenomeni di abbandono, si hanno sulla figura del “barbone” e sul suo recupero alla convivenza sociale.
Nel presentare i risultati dell’indagine “essere barboni a Roma” e gli atti del relativo Convegno, vorrei anzitutto fare una considerazione metodologica che riguarda la modalità attraverso la quale la Caritas ed il Labos hanno realizzato insieme questa ricerca. Quando Don Luigi Di Liegro mi chiese la collaborazione del Labos risposi che avremmo accettato volentieri a condizione di poter contare su un gruppo di 20 volontari, ai quali avremmo garantito come Labos un supporto formativo ed un monitoraggio costante, perché i volontari stessi fossero i protagonisti della ricerca.
Si tratta mi sembra, di una innovazione interessante sul piano metodologico alla quale come Labos teniamo in particolar modo. Lo sforzo di coinvolgere nella ricerca sociale degli operatori, che pur non hanno una formazione come ricercatori, rappresenta a nostro avviso una strategia più mirata per affrontare oggi il tema delle nuove marginalità sociali.
In effetti le nuove marginalità sociali presentano una struttura di bisogni sociali particolarmente complessa, all’interno della quale si intrecciano nuove e vecchie povertà, situazioni di precarietà di tipo materiale, carenze istituzionali e nuovi bisogni relazionali e post-materialistici legati più direttamente al venir meno dei legami di solidarietà ed alla caduta della qualità dei rapporti interpersonali.
Le nuove personalità sociali sono rappresentate infatti da quei gruppi sociali – come è il caso degli anziani, dei deboli di mente, degli handicappati e dei tossicodipendenti – che vivono nelle nostre società post-industriali delle gravi situazioni di disagio sociale, all’interno del quale è difficile dirimere le responsabilità che sono da ricollegare, per così dire, a delle “defaillances” individuali, vale a dire di inadeguatezza e carenze personali e quelle responsabilità che invece attengono direttamente all’incapacità della società civile e delle istituzioni di offrire sostegno e percorsi diversificati ed innovativi di integrazione sociale, al silenzio delle reti relazionali parentali e territoriali ed alla rarefazione di quei circuiti di solidarietà, cooperazione e conforto che naturalmente devono caratterizzare ogni comunità sociale.
Un problema come quello dei barboni direi, allora, che è un problema tipicamente emblematico di queste nuove marginalità sociali.
Quando si parlerà nella ricerca del fenomeno del “nuovo barbonismo” vedremo come in questo fenomeno siano molto più importanti le forze di espulsione che provengono dalla società nel suo complesso rispetto alle componenti di scelta o di auto-emarginazione che sono invece presenti in questa figura del nuovo barbone.
Se, allora, le nuove marginalità si caratterizzano per questo rimanere in bilico tra problemi specifici personali e problemi di tutta la società, anche la figura di chi deve sondare e conoscere queste situazioni probabilmente deve avere queste stesse caratteristiche. Il ricercatore sociale deve cioè saper mantenere un piede nella società civile, avere una forte sensibilità, un forte coinvolgimento individuale, una notevole capacità di ascolto per professionalità o per scelta volontaria, perché i problemi che va ad indagare non sono dei problemi obiettivi, misurabili, quantificabili, ma sono spesso dei problemi molto sfumati, molto difficli da definire, di tipo strettamente qualitativo e motivazionale, che riguardano la qualità stessa della comunicazione e della relazione interpersonale, la qualità stessa della vita che si può oggi instaurare all’interno della società civile.
Noi abbiamo, quindi, puntato sui volontari come ricercatori – li abbiamo definiti nelle nostre riunioni di formazione e di elaborazione dei dati come “ricercatori di strada”, volendo dare a questo titolo un elemento di prestigio, di dignità – in quanto persone che sono più direttamente a contatto con questi tipi di realtà del disagio sociale e che, quindi, forse sono in grado, più di un ricercatore teorico, astratto e tecnicamente perfetto, di sentire e di palpare questi nuovi bisogni immisurabili quali sono appunto i bisogni di relazione, i bisogni di comunicazione che, come vedremo, sono al centro della situazione di nuova marginalità sociale dei barboni.
Questo non vuol dire, certamente, che oggi si debba fare ricerca soltanto con i volontari; però vuol dire che se il mondo dei volontari, come appare chiaro nel campo del barbonismo che ci interessa in questa sede, ha dato e sta dando qualcosa di molto importante e di difficilmente sostituibile proprio sul versante della risposta ai bisogni, è anche vero allora che da questo mondo possiamo attingere anche una capacità di comprensione e di scandagliamento dei bisogni, una sensibilità particolare che è anche utilizzabile, quindi, in termini di ricerca e in termini di approfondimento del fenomeno nelle sue cause più profonde.
È questa, quindi, la premessa che volevo fare, e con essa il ringraziamento che volevo dare alla Caritas e ai 20 volontari che ci hanno seguito in questa ricerca, ai quali bisogna dare atto dei risultati che vengono qui esposti, perché la ricerca è stata realizzata grazie alla loro sensibilità.
Entrando adesso nel merito dell’indagine, mi soffermerò su quella che possiamo definire un po’ una triangolazione che riguarda oggi il fenomeno e dell’evoluzione dei bisogni dei barboni.
Il secondo polo è quello della società civile, proprio in relazione a quanto dicevamo, al fatto cioè che aumentano oggi le componenti di espulsione della società. È importante sapere allora cosa pensa la società civile di questo fenomeno, quali sono i margini di responsabilizzazione e di coinvolgimento che la società civile si dà o si propone, quali sono gli elementi di conoscenza che questa società civile ha del fenomeno stesso.
Il terzo polo della triangolazione infine è. Ovviamente, il mondo delle istituzioni. Mondo delle istituzioni che la ricerca ha preso in esame anche attraverso il giudizio e la valutazione di alcune componenti che vanno da un sondaggio di popolazione del centro storico ad una intervista allargata a dei parroci di quartieri particolarmente interessati ed infine a degli “opinion – leader”, a degli operatori, cioè, che sono direttamente a contatto con il problema.
La ricerca, quindi, non solo presenterà una descrizione e valutazione di quello che fanno le istituzioni, ma anche la percezione che queste tre componenti hanno di quello che si fa e le proposte che da queste tre stesse componenti provengono per un intervento innovativo sul fenomeno del barbonismo.
Vi è infine, un’ultima parte dell’indagine, relativa ad un pacchetto di proposte, che è stato offerto alle istituzioni sulla base dei risultati dell’indagine e che, presentata nel Convegno in apertura della tavola rotonda, è stato oggetto delle verifiche e delle reazioni dei diversi responsabili istituzionali impegnati nella città di Roma sul piano delle politiche sociali.
Consideriamo adesso, allora, il primo polo di questa triangolazione che è quello dell’evoluzione del fenomeno dei barboni, vale a dire come cambia o come è cambiata oggi la domanda che viene dal barbonismo.
È su questo piano che si riscontrano le più importanti novità. Sul piano dei numeri, anche se non c’è certezza, le valutazioni che abbiamo sentito tra gli operatori ed i testimoni privilegiata vanno da un minimo di trecento persone ad un massimo di duemila barboni presenti nella città di Roma con una notevole tendenza dunque all’espansione del fenomeno.
Possiamo dire con una certa tranquillità che certamente nel nostro centro storico i barboni non sono meno di 500. Dobbiamo anche dire che questa stima si riferisce al barbonismo cosiddetto “puro” cioè a quel barbonismo tradizionale, al romantico “clochard” parigino che malgrado tutto resiste ed è, mio avviso, una sorpresa anche di questa ricerca. Pensavamo, infatti, che il “nuovo barbonismo”, questa trasformazione, come vedremo, dell’identikit, del modello del barbone fosse andato a scapito della figura tradizionale del barbone. Non è cosi, la vecchia immagine del “clochard” sembra resistere molto bene, con le stesse caratteristiche di sempre: “l’uomo con la chiocciola” – come viene definito – che si sposta con tutti i suoi averi, che spesso sono anche solo due buste di plastica; l’uomo che è difficile trattenere in un dormitorio anche quando c’è l neve fuori; l’uomo che non accetta il dialogo con le istituzioni, ma che vuol essere lui – in un certo senso – il gestore assoluto di quel poco di dialogo che concede a se stesso nei riguardi delle istituzioni.
Questo clochard parigino potremmo definirlo una sorta di “anoressico istituzionale” una persona, cioè che percepisce ormai, sulla base di una serie di traumi passati, in maniera totalmente ostile l’ambiente circostante, il modello organizzativo che lo circonda e le istituzioni della società e ciò a tal punto da temere di doversi nutrire di questo contesto, di queste istituzioni, quasi ne rischiasse l’avvelenamento e quindi da scegliere di difendersi, di tenersi in disparte; entra in contatto, si qualche volta, ma dove lui porre le condizioni, con estrema prudenza e circospezione, di questo rapporto.
Ecco, allora, perché questo barbonismo tradizionale oggi è così difficile da accostare e spesso più che dialogare con i barboni ci si scambiano brioches, cappuccini o monete da 500 lire.
Questo è il codice di comunicazione che impone “l’anoressico istituzionale”: se mangio le istituzioni, se mi nutro delle istituzioni che mi stanno attorno, rischio di esserne avvelenato e quindi fuggo, mi difendo, vado via per sopravvivere, limito al minimo e nella misura più informale possibile il contatto.
Questo tipo di personaggio ancora resiste in tutta la sua importanza, in tutta la sua gravità e costituisce evidentemente la paura più alta, la punta più difficile dell'”iceberg” di tutto il fenomeno del barbonismo.
È strano come, ad esempio, i veri barboni spesso sono diffidenti anche tra loro, cioè come se anche gli altri barboni facessero parte di questa organizzazione esterna e pericolosa di questo contesto di cui diffidare.
Sono elementi sui quali credo si debba riflettere soprattutto mettendole in collegamento con la nuova fenomenologia del barbonismo che la ricerca ha evidenziato e con quello che succede, contemporaneamente, sugli altri due poli che ci interessano e che sono quelli della società civile e delle istituzioni.
Quali sono, allora, le altre figure del barbonismo?
Si piò dire schematicamente che l’anoressico istituzionale ha avuto, ormai, un taglio netto, una frattura irrimediabile di quel sottile filo vitale di collegamento con l’organizzazione della società, quel filo vitale che permette a tutti noi di alimentarci della società ed al tempo stesso di riconoscerci all’interno della società.
Le altre figure che sono in situazione di rischio a far parte della categoria dei barboni sono, allora, delle persone che vedono costantemente allentarsi o rendersi fragile questo stesso sottile filo di collegamento e di alimentazione con la società.
È lungo un continuum di allentamento e attenuazione di questo filo, di questo collegamento vitale con la società che si pongono dunque le nuove figure dei barboni.
Questa situazione di rischio di frattura del filo vitale con la società sembra molto collegata alla qualità precaria delle relazioni interpersonali che caratterizzano le società post-industriali ed al clima più generale delle società complesse. Al degrado complessivo del tessuto sociale di una società post-industriale, dove vengono meno i legami di solidarietà e di comunicazione a livello di singole persone individuali e di singoli gruppi, familiari o no, si aggiunge lo sfilacciamento progressivo di un tessuto sociale dove le istituzione sono sempre meno capaci, più che attente, a rispondere ai veri problemi delle persone. Tutto ciò si verifica infine all’interno di una realtà che globalmente è in forte crescita e trasformazione, che aumenta il suo livello di complessità sociale e che rende, quindi, sempre più difficile questo semplicissimo nostro compito che è quello di integrarci, che è quello di trovare un posto, una collocazione, un momento di scambio con la società e con l’organizzazione sociale.
Ci sono, quindi, tre tipi di traumi possibili sempre più frequenti in una società post-industriale come la nostra, in forte perdita di identificazione ed in forte perdita di capacità organizzativa e istituzionale. Questi tre grossi traumi possono essere provocati e possono tagliare o rendere più fragile il cordone di alimentazione sociale di gruppi di persone che sono circostanti alla categoria dei barboni individuali.
Il primo grosso trauma che può spingere nuovi gruppi di persone verso il barbonismo è rappresentato dalle crisi familiari o dalla mancanza assoluta della famiglia o di un gruppo di riferimento di amici e coetanei, dalla scarsa qualità dei rapporti interpersonali e, quindi, dalla scarsa possibilità di trovare nei propri percorsi esistenziali delle persone disponibili, delle persone con cui dialogare, delle persone che rappresentino un sostegno ed un riferimento costante.
Il secondo trauma è quello istituzionale. Le istituzioni per quello che hanno fatto e per quello che non hanno fatto, per i danni che hanno prodotto e per i danni che non sanno riparare. I nuovi barboni sono il più delle volte, degli ex istituzionalizzati, vengono dagli ospedali psichiatrici, vengono dalle carceri, vengono dalle istituzioni totali che si occupano dei minori, vengono dagli ospizi, sono delle persone che tentano di rientrare nella società e vengono di fatto abbandonati: sono quindi il prodotto di una istituzionalizzazione che h tolto delle risorse, ha indebolito piuttosto che rinforzare, piuttosto che dare degli strumenti e che si trovano a fronteggiare una società civile chiusa ed insensibile senza poter contare su alcun rapporto istituzionale.
Vi sono, inoltre, accanto a questi ex-istituzionalizzati degli altri gruppi di persone che vivono in situazione di disagio e che non trovano nelle istituzioni delle risposte adeguate; sono persone senza lavoro, sono persone sfrattate, sono tossicodipendenti, sono alcolisti, sono persone fragili e disorientate in cerca di un supporto, un sostegno esterno che venga da istituzioni moderne e capaci.
Ed elle allora il terzo trauma che può portare al nuovo barbonismo: il confroto-scontro con la complessità sociale crescente, con una realtà sempre più complessa, difficile da governare, da comprendere, di cui non si è capaci di leggere i fili rossi ed al cui interno non si riesce ad individuare dei percorsi adatti di maturazione personale e di integrazione sociale. Uno scontro con la complessità sociale che rischia di diventare angoscioso se si è soli ed in cui il vuoto istituzionale può comportare una frattura irreversibile dei legami con la società.
Vi è, quindi, una sorta di costellazione, di miriade di piccoli gruppi a rischio che vagano intorno all’area del barbonismo puro e che nella nostra ricerca sono stati definiti come barboni potenziali o questuanti o barboni intermedi.
Ci sono due livelli in questo “continuum” che può portare da uno di questi traumi sociali al barbonismo: c’è un livello avanzato di chi è già abbastanza avviato nella sfera del barbonismo, che ha già cristallizzato una sorta di prassi o di modello di comportamento di non ritorno; e ci sono, invece, delle altre persone in cui il trauma è stato meno forte, meno drammatico e che sono ancora a livello di potenzialità.
Questi due gruppi di persone, che rappresentano il nuovo barbonismo, hanno delle caratteristiche diverse rispetto al barbone tradizionale, ma non necessariamente alternative o non confrontabili.
Le caratteristiche diverse sono soprattutto di due tipi: sono persone, anzitutto, ancora sensibili ad un intervento istituzionale intelligente e mirato, cioè non sono antagonisti come lo sono i barnoni “puri”, non hanno ancora maturato “l’anoressia istituzionale”; sono su questa strada ma non sono al capolinea, un intervento istituzionale e mirato potrebbe ancora recuperarli e sono essi stessi a chiederlo.
Il secondo elemento di diversità è la disponibilità alla comunicazione: queste persone non si trincerano nel silenzio, ma sono pronte a parlare, sono pronte ad esprimere le loro difficoltà e i loro sentimenti e non chiedono altro.
In poche parole in queste due categorie del nuovo barbonismo emergono con maggiore evidenza, e costituiscono di fatto un terreno di possibile prevenzione e intervento, quelli che noi abbiamo definito come i bisogni post-materialistici, cioè questi bisogni di relazione, di comunicazione che non hanno tanto a che vedere con problemi di tipo materiale, con precarietà legate alla sopravvivenza, ma che hanno piuttosto a che vedere con la qualità della comunicazione, il senso di appartenenza ad una società, la ricerca o il ritrovarsi in valori che si possono condividere, rispetto ai quali si possono trovare nella società delle strade, degli strumenti, delle persone con cui realizzarsi.
Ma la mappa del nuovo barbonismo oltre alla presistenza del vecchio modello e all’emergenza di nuove figure presenta altre due grandi sorprese: la prima è la provenienza dei nuovi barboni da tutti i ceti sociali, la seconda è la forte presenza di giovanissimi; dalle nostre interviste risulta che ci sono due circoscrizioni che conoscono come barboni soltanto persone che hanno una età che va dai 25 ai 30 anni ed un terzo dei barboni che si rivolge ai centri di assistenza della Caritas, ha meno di 29 anni.
Questi due dati confermano la caratteristica dominante delle nuove marginalità sociali che consiste nella non sovrapponibilità meccanica tra bisogno economico e povertà; le nuove povertà che caratterizzano oggi la marginalità sociali affondano piuttosto le loro radici nel disagio sociale derivante dalla scarsa qualità dei rapporti interpersonali e questo disagio attraversa verticalmente tutti i ceti sociali e colpisce tutte le età, ma con particolare gravità le generazioni giovanili.
Ma se l’intreccio tra vecchi e nuovi bisogni è molto più evidente nelle categorie emergenti nel nuovo barbonismo, esso certamente non è assente – come lo dicono ampiamente le storie di vita – nel modello classico del barbone, dove, in maniera evidente emerge che la situazione di precarietà materiale è spesso una scelta conseguente ad un trauma di tipo affettivo, di una ferita inguaribile sul piano della comunicazione umana, della relazione, della identificazione in valori e obiettivi che si condividono con il resto della società.
Passiamo adesso alla società civile, il secondo polo della nostra triangolazione, e vediamo quali elementi di novità ci sono su questa sponda che possono aiutarci nell’affrontare il problema dei barboni.
Vi è innanzitutto un grossa contraddizione tra da un parte che è quello che è il comportamento obiettivo, constatabile dell’opinione pubblica e della società civile e, dall’altra, quelli che sono i giudizi che l’opinione pubblica dà al fenomeno, la percezione che ne ha e le soluzioni che prospetta o che riconosce come legittime e giuste.
Sul piano dei comportamenti, emerge una società estremamente distante, quasi spaventata. Secondo i dati del sondaggio il 47.6 %degli intervistati se vede un barbone non si ferma nemmeno; il17% prova un forte senso di disagio e cerca di evitarlo, cambia strada, si sposta; solo il 5% si ferma a parlare; il resto se la sbriga con una monetina.
Un comportamento, quindi, tipico da società post-industriale dove le povertà post-materialistiche sono nella società civile; dove, cioè, la mancanza di comunicazione, di relazione, di rapporto umano, di senso di appartenenza partono tutte dalla società civile e si alimentano all’interno stesso dei comportamenti della società civile.
Se si chiede, invece, di dare dei giudizi sul fenomeno e di prospettare le possibili soluzioni l’atteggiamento cambia radicalmente.
Solo il 2.9% di quanti sono stati intervistati ritiene che sia prioritario promuovere un intervento di controllo e di garanzia sul piano dell’ordine pubblico, quindi la paura, che sembrava evidente nei comportamenti, da fatto razionalmente non sussiste; un altro 2.9% considera il fenomeno del barbonismo – e certamente ci si riferisce al barbonismo puro, non al nuovo barbonismo – un fenomeno del tutto recuperabile e questa è una novità importantissima.
Si abbandona, inoltre, uno schema mentale che era anche, in un certo senso, un alibi della società civile, cioè quello di dire: i barboni hanno scelto questa strada autonomamente, non possiamo farci niente, non ne siamo responsabili, lasciamoli liberi di portare fino in fondo le loro scelte. L’irriducibilità della scelta di vita dei barboni non è più sostenuta: solo il 3% considera questa situazione non recuperabile.
Il 33.6%, un intervento su tre, considera che la soluzione del problema va cercata in un coinvolgimento di tutte le risorse e di tutte le forze sociali esistenti. Non c’è, quindi, per una persona su tre, delega alle istituzioni, siano esse di controllo o siano esse di servizio sociale, siano esse pubbliche o private, per una persona su tre la soluzione sta nel coinvolgimento di tutte le componenti della società, ivi compresa, quindi, la società civile, le singole persone, percepite come responsabili anche nei loro comportamenti individuali.
Questa contraddizione eclatante tra giudizi e comportamenti all’interno della società civile è un altro tratto inquietante dello scenario delle nuove marginalità sociali. La società civile appare lucide, razionale, molto aperta e disponibile nei giudizi e negli atteggiamenti psicologici; ma appare poi del tutto bloccata sul piano dei comportamenti, stranamente paralizzata ed incapace di dar seguito con i gesti ad una coscienza sociale che sul piano teorico ha registrato grandi passi in avanti in questi ultimi anni. Questa paralisi della società civile pesa particolarmente sul destino delle nuove marginalità sociali alimentandone constantemente il disagio e, bloccandone ogni spiraglio di superamento. Non c’è anche qui allora un problema aperto che deve porci degli interrogativi a tutti noi ed alle istituzioni?
Dal sondaggio dell’opinione pubblica, infine, emerge che il fenomeno del barbonismo viene concepito come un fenomeno misto di bisogni materiali o di bisogni immateriali o relazione; anzi il 38.4 % degli intervistati, ed è la percentuale più alta, mette al primo posto tra i bisogni dei barboni l’essere trattati come persone e avere dei rapporti significativi con altre persone.
Il bisogno classico di mangiare e dormire, che era quello sul quale solitamente si pensava di poter risolvere il problema, viene indicato solo dal 27.6% come prioritario. Infine un 18.6% indica in una maggiore igiene personale e nelle cure sanitarie i bisogni principali.
È importante sottolineare anche questa profonda trasformazione dell’opinione pubblica nei giudizi e nella percezione dei bisogni dei barboni che si ricollega alla maturazione complessiva della coscienza sociale.
Si è infine chiesto di identificare la figura del barbone e sono state offerte alcune possibili definizioni.
Al primo posto troviamo: una persona estremamente povera; al secondo posto: una persona che soffre; solo al quinto posto, indicato dal 26.2% degli intervistati, viene: una persona “irresponsabile”, “pericolosa”, o “irrecuperabile”.
Sono dati significativi. Ciò vuol dire che vi sono all’interno della società civile dei margini nuovi e per lo più ignorati di responsabilizzazione e di coinvolgimento nei riguarda delle nuove povertà. È come se la società civile percepisce la presenza al suo interno di maggiori risorse oggi per dare delle risposte a quei barboni classici, ai clochards che vogliono dormire sotto i ponti. Quuesti giudizi, infatti, sono evidentemente rivolti al barbonismo classico, dal momento che la società civile non ha le antenne sufficienti al momento attuale per percepire il nuovo barbonismo.
Una società che è cosciente, quindi, che oggi esistono al proprio interno così nelle persone, come nelle istituzioni delle risorse in più, delle possibilità ,maggiori per recuperare il barbone, per dare cioè al barbone quegli strumenti, quelle risposte che potrebbero convincerlo ad abbandonare i ponti, la chiocciola, a superare questa sorta di anoressia istituzionale, di rifiuto di ogni rapporto di qualsiasi genere che è sempre stata percepita nella tradizione di questo fenomeno come un qualcosa di irrevocabile e di irrecuperabile.
È un dato, questo, da tener presente nell’affrontare tutta la tematica delle nuove marginalità, i cui bisogni sociali richiedono un coinvolgimento necessario della società civile in nuovi modelli di intervento.
Passiamo adesso al terzo ed ultimo polo, che è quello delle istituzioni, e vediamo, allora, qual è la percezione sul “che fare” e sul “cosa si fa oggi” a favore dei barboni che emerge dai risultati della ricerca.
C’è un giudizio da parte del campione di popolazione intervistato abbastanza negativo, se non del tutto negativo, su come oggi intervengono le istituzioni nei riguardi dei barboni.
Solo il 2.9% degli intervistati afferma che le istituzioni pubbliche intervengano in maniera efficace sui barboni. Questa percentuale si raddoppia quasi nel caso delle istituzioni private toccando il 4.7%.
Tra le risposte possibili è stata operata una distinzione tra i modi: “efficace” e “abbastanza efficace” di intervenire delle istituzioni.
Se sommiamo queste due voci abbiamo per le istituzioni private il 29.8%, vale a dire che quasi una persona su tre afferma che le istituzioni private oggi agiscono in maniera abbastanza o comunque efficace rispetto ai barboni.
Questa percentuale cala vistosamente nei riguardi delle istituzioni pubbliche: dal 29.8% scendono all’8.8%, con più di 20 punti di differenza. Solo l’8.8% degli intervistati è quindi soddisfatto dell’intervento delle istituzioni pubbliche, mentre il 57.8% è poco o per niente soddisfatto e addirittura il 28% non è affatto soddisfatto dell’intervento pubblico.
Se sommiamo anche queste due ultime voci, abbiamo complessivamente che l’86.2% degli intervistati non è soddisfatto o considera inefficace l’intervento delle istituzioni pubbliche nei riguardi dei barboni, mentre è il 58.6% degli intervistati che non è soddisfatto degli interventi privati, con uno scarto quindi a favore del privato di ben 28 punti percentuali.
Comunque nel complesso si registra una larga insoddisfazione, perché anche se i servizi privati sono nettamente più apprezzati rispetto a quelli pubblici non per questo ricevono un apprezzamento globale e di tipo generale.
Quanto alle modalità dell’intervento, gli operatori ed i testimoni privilegiati intervistati individuano nell’intervento pubblico una rigidità eccessiva, un tentativo di incaselare i bisogni del barbone in categorie precostituite che prevedono forme di prestazioni standard pre-definite e questo comporterebbe, allora, una selezione dell’utenza stessa e faciliterebbe la spinta alla fuga delle istituzioni da parte dei barboni.
Questi stessi operatori considerano, invece, le istituzioni private molto più flessibili, più aperte, disponibili ad ascoltare, in un certo qual senso rispettose dei tempi di evoluzione dei problemi del barbone, con una maggiore capacità di attesa e di accettazione degli eventuali percorsi di avvicinamento ad esse dei barboni.
La ricerca si è anche occupata, infine, si esplorare le possibili strategie di intervento. Il sondaggio di opinione indica nell’ordine: apposite strutture di recupero (38.2%); incentivare l’aiuto di tutti (27,2%); intensificare i servizi pubblici ed infine l’intervento privato.
I parroci si rivelano in questa nostra ricerca come un testimone privilegiato molto sensibile e con le idee molto chiare sul da farsi: per l’85.7% degli intervistati è necessario che si faccia pressione sulle autorità perché vengano coinvolti direttamente i servizi sociali; si richiede, poi l’istituzione di nuovi centri e nuove comunità che siano più vicine ai bisogni individuali e personali dei barboni ed inoltre che tutta la collettività nelle sue varie articolazioni venga impegnata e responsabilizzata sul problema.
In definitiva, ciò che emerge da questa serie di giudizi sul che fare e sul chi deve occuparsene è soprattutto l’esigenza di un progetto articolato che comprenda contemporaneamente più stadi di intervento.
In poche parole per definire una strategia non bastano le istituzioni pubbliche da sole, non bastano i servizi privati da soli, non bastano certamente i parroci, non bastano le singole persone, anche se fossero disposte a condividere la propria vita con un barbone. La complessità del fenomeno e il fatto che la condizione del barbone presenti contemporaneamente bisogni di tipo diversi, da quelli materialistici a quelli post-materialistici fortemente intrecciati fa sì che oggi l’intervento venga ormai percepito, anche a livello di opinione pubblica generale oltre che dagli operatori e dai testimoni privilegiati, come un intervento a più stadi, articolato in diversi segmenti, che presenti una gamma diversificata di possibilità, più che puntare su delle priorità specifiche.
È come dire che è inutile fare, ad esempio, dei centri di accoglienz che rispondano ai bisogni primari dei barboni, come l’alimentazione, l’abbigliamento, le cure sanitarie; se contemporaneamente non si prevedono delle microstrutture, di dimensione più piccola, delle case-famiglia, dove sia possibile aiutare il barbone in un percorso di recupero che contempli il passaggio dalla soddisfazione di questi bisogni materiali pressanti di prima urgenza alla soddisfazione di bisogni più profondi di tipo affettivo, di tipo comunicativo, culturale, di bisogni relazionali e post – materialistici appunto, che richiedono un clima particolare, un ambiente specifico fatto di spazi più ridotti, di piccoli gruppi di persone, di profili professionali di educatori, operatori sociali e volontari sensibili ed attenti ai bisogni relazionali dei barboni ed in grado quindi di iniziare con lui un lungo e difficile percorso di recupero alla socialità ed alla comunicazione sociale.
È questa globalità di un progetto strategico di azione da promuovere a diversi livelli che emerge come conclusione della ricerca e che si propone come modello innovativo per affrontare una tematica come quella dei barboni da sempre esiliata all’ultimo stadio delle marginalità sociali e contrassegnata da un marchio di irrecuperabilità.
Un progetto globale che coinvolga al tempo stesso quote complementari di responsabilità tra istituzioni pubbliche e private e componenti della società civile e che comporti in successione o in parallelo, ma all’interno di un medesimo progetto momenti di soddisfazione e dei bisogni materiali e di quelli post – materialistici senza successione di continuità.
Diversificazione dei soggetti protagonisti delle politiche sociali, ivi compresa la società civile, da una parte; diversificazione ed intreccio dei modelli di risposta ai bisogni, fortemente concatenati l’un l’altro, così come intimamente collegati sono oggi bisogni materialistici e post – materialistici dall’altra, ma il tutto fortemente saldato all’interno di un unico progetto globale di intervento: questo appare dai risultati della ricerca come una possibile strategia innovativa per affrontare oggi il mondo complesso delle nuove marginalità sociali.
Claudio Calvaruso