Costruire un rapporto sulle politiche sociali regionali nel panorama complesso e fortemente differenziano di questa fase di trasformazioni e mutamenti sociali che attraversa il nostro Paese non è certamente compito agevole.
Le difficoltà vengono anzitutto dall’esigenza di circoscrivere l’oggetto dell’attenzione all’interno di una definizione del “sociale”, i cui confini vanno sempre più allargandosi nelle società di tipo post-industriale sino a sovrapporsi tendenzialmente con ogni atto formale del governatore.
Le ricadute, se non le connotazioni dirette in quanto “sociale”, di ogni momento politico decisionale sono difficilmente contestabili: ove si dia, da una parte, alla definizione del “sociale” una qualificazione di tipo comunitario strettamente connessa alla “qualità della vita”; e, dall’altra, si riconosca all’esercizio del “governare” una finalità di orientamento e di sviluppo in positivo dell’organizzazione del sistema societario.
Il carattere strategico delle politiche socio-assistenziali
L’esigenza di “discriminare” in qualche modo all’interno di questo scenario così ampio è stato risolta dal Labos individuando nel settore socio-assistenziale l’ambito più specifico ed al tempo stesso più indicativo della domanda sociale che maggiormente richiama oggi forme ed interventi di solidarietà sociale.
Si sono così identificati in quei gruppi marginali che insistono su questo settore, quelle aree più deboli in favore delle quali oggi maggiormente si richiedono atti mirati di governo per raggiungere una migliore qualità complessiva dello sviluppo sociale.
Ed è appunto nel settore socio-assistenziale delle politiche sociali che si è concentrata l’analisi di questo rapporto, prendendo in considerazione tutti quei gruppi sociali in difficoltà in esso confinati, come gli anziani, i minori e gli handicappati, in primo luogo; ma anche i barboni, gli immigrati, gli adolescenti disadattati e gli stessi tossicodipendenti: quei gruppi sociali, cioè, che da qualche anno vengono accumunati nella definizione di “nuove povertà” mescolando spesso confusamente sotto questa accezione riminiscenze di vecchie povertà materiali e nuovi bisogni post-materialistici.
Ma vi sono altri elementi che, a nostro avviso, giustificano ed al tempo stesso rinforzano questo tipo di scelta.
Se viene condivisa la connotazione proposta in senso prettamente sociale di ogni atto di governo all’interno di società complesse di tipo post-industriali, come la nostra, se ne può trarre che le condizioni di vita di questi gruppi marginali e la natura dei loro bisogni sociali assumano una particolare significatività, quasi un valore “spia” incontestabile, della capacità di un sistema sociale di garantire alla propria comunità livelli complessivi qualitativamente alti di soddisfazione dei bisogni sociali.
Ciò è ancora più evidente quando il superamento di sogli minime di sopravvivenza nelle condizioni di vita della comunità è un dato oggettivamente ricavabile dalla semplice giustapposizione di alcuni indici fondamentali dello sviluppo economico, come quelli, ad esempio, relativi all’evoluzione della scala dei redditi, alla qualità dei consumi, al prodotto lordo, alla ricapitalizzazione, al risparmio ed all’investimento privato, così via.
Conquistare il quarto posto nella graduatoria mondiale per la ricchezza dei Paesi nazionali non può risultare, infatti, ininfluente sul modo di concepire la politica sociale e sui traguardi complessivi di qualità della vita che un sistema sociale è in dovere di porsi.
Il traguardo di “società affluente”, ampiamente raggiungo dal nostro Paese, cui si accompagna necessariamente una connotazione non più esclusivamente materiale dei bisogni sociali – così come si evince con evidenza dai risultati di questa indagine – comporta infatti, a nostro avviso, una revisione profonda del concetto stesso di modello di sviluppo, districandolo dalle strettoie di una politica economicistica ad oltranza ed orientandolo verso una politica dal respiro ben più ampio che riguarda la qualità della vita e la sfera delle relazioni interpersonali, all’interno di una società che deve riscoprire le sue origini comunitarie e le ragioni profonde della solidarietà, una volta superato l’ “impasse” della sopravvivenza materiale.
In questo senso la scelta di restringere il campo di questo rapporto alle politiche socio-assistenziali può rivelarsi particolarmente felice. Questo settore della politica sociale sembra accentrare oggi, a nostro avviso, una somma marcatamente subalterno e residuale nello scenario politico italiano, e che si possono sinteticamente indicare:
a) nella forza dirompente che di fatto esso esercita nel mettere a nudo le contraddizioni di un modello di organizzazione sociale estremamente debole ed inadeguato nel perseguire obiettivi universalistici di benessere sociale non solo in senso materiale; ma anche, se non soprattutto, come si evince da questo rapporto, in senso relazionale e qualitativo;
b) nella potenzialità predittiva che lo contraddistingue in termini di prefigurazione possibile di un modello più avanzato di organizzazione sociale; nella misura in cui, sviscerando le componenti materiali ed immateriali del bisogno là dove le condizioni di vita sono più precarie, è in grado di individuare le premesse indispensabili per l’elaborazione di una nuova cultura istituzionale e la definizione di nuove politiche sociali in grado di imprimere un salto qualitativo alla vita comunitaria.
La parte del rapporto riservato all’analisi dei bisogni sociali dà ampiamente conto di questa emergenza crescente, accanto ai tradizionali bisogni materiali, di una dominanza dei bisogni relazionali e post – materialistici. Non soltanto, infatti, la preoccupazione relativa alla soddisfazione di questi bisogni traspare ormai dagli stessi obiettivi che il legislatore si è posto nel confezionare le diverse normative regionali che regolano oggi il settore socio-assistenziale; ma la percezione che gli operatori hanno della domanda sociale sottolinea il peso crescente di questi nuovi bisogni all’interno di una struttura complessa della domanda sociale.
I bisogni relazionali e post-materialistici conquistano, cioè, nella percezione degli operatori un ruolo “guida” e di maggior crescita prospettiva anche quando si vanno ad esaminare le condizioni di vita degli anziani , degli handicappati e dei minori che si rivolgono ai servizi pubblici dell’assistenza.
Si tratta, come viene ampiamente descritto nel rapporto, delle condizioni di solitudine, in cui vivono questi gruppi sociali, dei loro bisogni di affetto e di comunicazione, della mancanza di stimoli culturali, della difficoltà di partecipazione della caduta del senso di appartenenza alla società: nuovi bisogni che potremmo definire anche comunitari perché profondamente legati alle radici stesse di una comunità.
Il ruolo guida dell’Ente Regionale nella politica socio-assistenziale
Avendo individuato nel settore socio-assistenziale il contesto più significativo per costruire un rapporto sulle politiche sociali, si è dovuto affrontare, poi, un secondo ordine di difficoltà, rappresentato dall’esigenza di confrontarsi con i diversi livelli di competenza amministrativa e politica che incombono su questo settore: da quelle centrali dello Stato a quelle regionali, provinciaili e comunali, sino alle unità più decentrare di gestione quali sono le USL.
Qui il percorso ormai più che decennale del processo di decentramento istituzionale onn poteva permettere dubbi nella scelta dell’Ente Regione come interlocutore privilegiato di un rapporto valutativo delle politiche sociali.
La stessa natura istituzionale del CNEL, organismo promotore di questo rapporto, ci aveva incoraggiato ad orientare in questa direzione, dal momento che la stessa origine del CNEL, nella sua fase costituente, è strettamente legata ad una rappresentatività prevalente del momento regionale, in direzione del quale ambito regionale maggiormente si esalta il suo ruolo conoscitivo.
Tuttavia, e la nostra indagine lo fa emergere con evidenza, una serie di difficoltà sono stare immediatamente percepibili quanto alla possibilità reale di una valutazione e di un confronto dell’operato di governo dell’Ente regionale e ciò in relazione soprattutto al ruolo gestionale dei Comuni.
L’intervento socio-assistenziale dei comuni, non solo è fortemente caratterizzato in senso autonomo e a volte del tutto avulso da linee di indirizzo generale fornite dall’Ente Regione; ma risulta anche di fatto spesso separato sul piano amministrativo per la capacità crescente dimostrata dai Comuni, soprattutto concerne le grandi aree metropolitane di provvedere per proprio conto ai fondi di finanziamento dell’attività assistenziale, prescindendo in buona parte dai finanziamenti regionali.
È stato quindi necessario , pur mantenendo una centralità di attenzione nei riguardi dell’Ente Regione; non abbandonare del tutto il livello comunale; in particolare nel momento in cui, nella preparazione del Rapporto, siamo passati dalla disamina delle voci macrostrutturali del governo dell’assistenza (la normativa, le linee di indirizzo, gli obiettivi, i bilanci) ed una analisi e valutazione più diretta della domanda sociale da un lato e della risposta istituzionale dall’altro, esercizio questo che non poteva prescindere da una osservazione diretta del fenomeno sul piano delle competenze gestionali.
In questo senso una sezione ragguardevole di questo nostro rapporto è dedicato all’analisi dell’offerta dei servizi e della percezione e valutazione più diretta della domanda sociale in 19 comuni capoluogo di 5 regioni italiane, quali il Veneto, il Lazio, Le Puglie, La Liguria e l’Umbria.
La scelta di questo campione, pur non rispondendo a criteri scientifici di rappresentatività, ha volutamente privilegiato una rosa di Comuni che per ampiezza demografica alta e per una supposta qualità di innovazione e modernizzazione garantiva una capacità autonoma di far fronte al sistema complesso della politica sociale. Esso ha comunque inteso rappresentare tipologicamente:
– le diverse circoscrizioni geografiche (8 comuni al Nord, 6 al Centro e 5 al Sud);
– le non omogenee soluzioni istituzionali nelle condizioni di offerta, in particolare per quanto riguarda la forma associata o non dei servizi socio-assistenziali con quelli sanitari;
– le tre diverse realtà urbane: di piccola dimensione con 9 comuni con meno di 100.000 abitanti, di media dimensione con 6 comuni tra i 100.000 e i 300.000 abitanti e le aree metropolitane con 4 comuni superiori ai 300.000 abitanti.
Come si è già avuto modo di notare, questa parte dell’indagine è risultata estremamente indicativa sul piano dell’approfondimento delle procedure di intervento e soprattutto in relazione alla qualità ed alla rapida trasformazione dei bisogni sociali.
Ciò che giova sin d’ora sottolineare è l’estrema differenziazione delle situazioni e la difficoltà di riportare a linee unitarie di indirizzo oppure a tipologie ben definite di modello le diverse modalità di gestione, pur all’interno di un campione limitato e stratificato di comuni considerati.
È questo un elemento ulteriore di complessità del nostro oggetto di indagine che se, da una parte, avvalora l’ipotesi fondante di questo rapporto sulle politiche sociali finalizzato a realizzare una trasparenza conoscitiva tra i diversi comparti dell’assistenza; dall’altra, mette in guardia dalle eccessive schematizzazioni suggerendo piuttosto percorsi esplorativi differenziati, riattualizzazione e rivitalizzazione costante dei metodi di osservazione per tenere il passo con una realtà in costante trasformazione e che attraversa obiettivamente, ci sembra di poterlo affermare, una fase di forte transizionalità tuttora alla ricerca di momenti di definizione e di sedimentazione.
Un rapporto sulle politiche sociali regionali difficilmente, quindi, potrà attenersi, nell’eventualità di una periodica elaborazione, a schemi concettuali ed a metodologie di indagine rigidi e prefissati; ma, al contrario, dovrà fare della flessibilità delle categorie interpretative e della pluralità degli indirizzi metodologici la sua arma migliore.
Un nuovo approccio conoscitivo per i bisogni sociali
Scegliere il settore socio-assistenziale ed individuare nell’Ente Regione il soggetto istituzionale ispiratore delle politiche sociali da attivare in questo settore, mantenendo comunque un’attenzione alla gestione dei Comuni, non è sembrato peraltro sufficiente al Labos per costruire un rapporto sulle politiche sociali a ciò per due ordini di ragioni.
Il primo riguarda la modalità partecipativa e di approfondimento itinerante che il Labos aspira a realizzare e che costituisce la ragione più importante del suo essere fondazione.
Una modalità partecipativa che consiste nella scelta di fondo di fare “ricerca con”, più che “ricerca su”; intendendo con questa procedura di indagine che cerchi, per quanto possibile, di coinvolgere nel processo gli interlocutori più signicativi appartenenti allo stesso oggetto di indagine (politici, funzionari, operatori sociali, utenti) che sono poi i destinatari ultimi dell’indagine, come testimoni privilegiati, come antenne sociali imprescindibili per una corretta comprensione dei fenomeni, come referenti necessari e comprimari nel processo di approfondimento conoscitivo.
Il secondo ordine di ragioni è relativo alla nostra convinzione che la “materia sociale” di cui si occupa in questa sede è una materia, l’abbiamo già sottolineato più volte, in costante trasformazione e sempre maggiormente pendolante sugli aspetti qualitativi più che quantitativi.
I bisogni sociali, infatti, non solo marcano una fase di grosso mutamento e di complessificazione costante; ma affinano in maniera crescente la loro qualità in direzione di una struttura post-materialistica o relazionale (i bisogni di comunicazione, di appartenenza, di partecipazione, di protagonismo e corresponsabilizzazione, di affettività e di rapporti umani), la cui misurabilità sfugge per lo più ai metodi classici dell’indagine sociale, richiedendo momenti e livelli di ascolto strategici quanto più contigui e sensibili al formarsi ed al modificarsi della domanda sociale.
Per far fronte a questi due tipi di esigenze, il Labos ha cercato di articolare la preparazione di questo rapporto sulla base di una stretta collaborazione con gli assessori regionali responsabili del settore socio-assistenziale, con i loro funzionari ed esperti, con gli stessi operatori sociali dei comuni nella fase di rilevazione della domanda sociale.
Le finalità ed i contenuti del Rapporto, così come le modalità di acquisizione dei dati conoscitivi sono stati discussi e definiti insieme agli assessori ed ai loro esperti nel corso di due incontri seminariali.
Nel secondo di questi incontri, realizzato sotto l’egida del CNEL, sono stati affrontati anche alcuni modi problematici di tipo politico e culturale che interessano oggi il comparto socio-assistenziale; dando luogo, accanto al lavoro collegiale di impostazione del Rapporto, ad una riflessione socio – culturale che ci auguriamo possa trovare una sua continuità in un ambito istituzionale particolarmente significativo quale è appunto quello del CNEL.
Successivamente all’impostazione ed alla definizione dei contenuti e delle modalità di indagine, i funzionari ed esperti regionali hanno fornito un contributo indispensabile alla realizzazione del Rapporto mettendo a disposizione del Labos la loro esperienza, la conoscenza ed i materiali di base relativi alla produzione legislativa ed ai bilanci delle singole regioni.
Infine, nella parte della ricerca relativa alla descrizione dello stato dei servizi e all’approfondimento della domanda sociale è stato possibile attingere le informazioni presso i funzionari comunali (in alcuni casi anche presso le USL) e poter contare sulla collaborazione attiva di circa 800 operatori dei 19 Comuni capoluogo presi a campione per determinare le caratteristiche della domanda sociale proveniente ai servizi.
Questo rapporto ha tentato dunque di mantenere, almeno nelle intenzioni del Labos, un carattere esplorativo di tipo partecipativo, offrendo un momento di incontro e confronto delle politiche regionali nel settore socio-assistenziale e proponendosi come strumento di affinamento, valutazione e verifica dell’intervento sociale con quelle caratteristiche di continuità, trasparenza e coinvolgimento dei soggetti interessati che è richiesta a nostro avviso, dalla complessità ed insieme dalla transizionalità dell’attuale fase di trasformazione dei bisogni sociali.
Se a nessuno sfugge, infatti, la difficoltà di un confronto oggi in Italia tra le politiche regionali, nondimeno sempre più improrogabile appare, alla luce della nostra indagine, l’esigenza di operare questo confronto, soprattutto per quanto riguarda appunto il settore socio-assistenziale.
Le esigenze del confronto
Ma è tempo di entrare adesso più direttamente nel merito dei contenuti del Rapporto, e di trarne alcune significative conclusioni, anzitutto in relazione all’interesse di promuovere un confronto tra i diversi governi regionali dell’assistenza operanti oggi nel nostro paese.
Vediamo alcune ragioni di questa esigenza improrogabile così come si possono evincere dai contenuti del Rapporto:
1) il settore socio-assistenziale aspetta ormai da troppi anni una legge quadro nazionale, rispetto alla definizione della quale i percorsi più o meno avanzati o innovativi messi in atto dalle differenti regioni rappresentano delle esperienze imprescindibili da prendere a riferimento, anche se le regioni che hanno definito ad oggi una legge quadro sono soltanto: Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Basilicata, Calabria, Sicilia;
2) l’autonomia dal sanitario del settore socio-assistenziale, un’autonomia parallela che punta ad una integrazione di questi due settori su basi di parità, non è ancora del tutto scontata sia sul piano teorico che pratico e risulta quanto mai urgente per gli assessori regionali del socio-assistenziale confrontarsi su di una linea strategica comune. Da una parte, infatti, il dibattito è ancora aperto circa la reale opportunità di scindere questi due ambiti delle politiche sociali così fortemente intrecciati e complementari al punto da creare costantemente confusione e conflitti di competenza, parzialità o duplicazione degli interventi (basti pensare in merito a quanto avviene per gli anziani, soprattutto i non autosufficienti, per i tossicodipendenti per i deboli mentali e per gli handicappati); dall’altra, di fatto, in alcune Regioni i due settori risultano riuniti sotto lo stesso assessorato. Mentre in altre ancora si è attuato un processo di decentramento di competenza sino all USSL, dove risulta poi assai difficile distinguere i due campi di intervento;
3) il settore socio-assistenziale rappresenta senza dubbio, tra le diverse aree di governo delle Regioni, la più marginale: anzitutto, a causa della scarsa affluenza di risorse economiche (la percentuale della spesa socio-assistenziale sul totale delle spese regionali oscilla tra lo 0.4 dell’Umbria e l’1.5 del Veneto e della Val d’Aosta); ma anche, e probabilmente conseguentemente, per la permanenza nel nostro Paese di una profonda e radicata sottocultura assistenziale che tende a considerare questa materia avulsa ed inincidente rispetto all’asse centrale dello sviluppo del Paese, quando non addirittura di cagionevole intralcio; ne deriva allora l’esigenza di una politica di recupero e di rilancio di questo settore che i responsabili regionali e dalla messa in comune di strategie politiche appropriate;
4) ricostruire un bilancio della spesa regionale relativa al campo socio-assistenziale è un’impresa estremamente ardua, anzitutto per la difficoltà di reperire dati aggiornati e poi:
– per la difformità tra le diverse Regioni nella presentazione tecnica delle varie voci di bilancio;
– per i livelli di delega all’Ente Locale che variano da Regione a Regione;
– per i diversi livelli di integrazione esistenti tra il settore sociale ed il sanitario;
– per la vocazione “sociale” estremamente differenziata degli enti locali: dal momento che alcuni comuni provvedono autonomamente a parti importanti del bilancio socio-assistenziale, mentre per altri l’ente regione provvede totalmente o in parte preponderante a questa voce. Dall’indagine si evince che a determinare livelli più elevati di spesa concorre soprattutto l’impegno finanziario del singolo comune. Ciò va posto in relazione con la maggiore capacità di governo e programmazione di interventi socio-assistenziali che contraddistingue questi comuni;
5) sempre in materia di spesa socio-assistenziale, l’indice di variazione dell’incidenza della spesa socio-assistenziale sul totale della spesa regionale oscilla dallo 0.4% dell’Umbria all’ 1.5% del Veneto e della Val d’Aosta; mentre la spesa calcolata per abitanti registra una media di 14.500 lire pro-capite nel 1984 e di 18.500 nel 1985 con differenziazioni notevoli tra le Regioni rispetto ai quali è quanto mai opportuno poter disporre di maggiori parametri comparativi;
6) esistono, inoltre, ancora delle disproporzioni troppo forti, emerse nell’indagine sui 19 comuni capoluogo, nei livelli di spesa sia all’interno delle singole categorie di utenti sia tra le diverse categorie: ad esempio, il costo medio dei servizi per i minori a Venezia risulta 40 volte superiore rispetto a quello di Verona (e si tratta di capoluoghi della stessa Regione); ancora Venezia ha una spesa media per anziani di 15 volte superiore a quella di Roma e Frosinone, ma non spende neanche un terzo della spesa erogata a Rieti per gli handicappati;
7) sempre dall’indagine sui comuni, non si riescono ad evincere linee di uniformità regionale rispetto ai modelli di intervento, scelgono aree di utenza ed applicano parametri di spesa completamente slegati non solo da una logica regionale ma anche da un’attenta valutazione dei bisogni, mettendo in risalto una retrostante carenza dell’Ente Regione quanto alla indicazione di linee programmatiche ed alla capacità di promuovere linee di indirizzo omogeneo. Si profila cosi, una possibile situazione di stallo della funzione di orientamento dell’Ente Regione, rispetto alla quale è necessario far sinergia ed individuare percorsi innovativi;
8) questa carenza di importazione regionale, si traduce per lo più nella frequenza degli interventi più tradizionali e nella difficoltà complementare, da parte dei comuni, a realizzare efficaci interventi preventivi e riabilitativi ed a soddisfare i nuovi bisogni; tuttavia si nota una differenza abbastanza rilevante tra il modello gestionale del centro-nord che è in grado di garantire maggiori servizi, rispetto a quello del Sud che è più disponibile all’erogazione di sussidi economici, soprattutto in favore delle persone anziane;
9) le carenze che emergono nella capacità dei servizi a soddisfare i nuovi bisogni sociali sono soprattutto di tipo qualitativo e strettamente connesse al rapido mutamento della domanda sociale: esse riguardano in particolare la scarsa sensibilità politica delle istituzioni, la scarsa capacità innovativa e manageriale dei livelli dirigenziali e la mancanza di formazione professionale adeguata;
10) la particolare complessità della domanda sociale, infine, all’interno della quale si intrecciano vecchi e nuovi bisogni sociali ed i cui ritmi di trasformazione sono ormai rapidissimi, impone oggi una vera sfida istituzionale proprio ai vertici regionali che sono preposti alla funzione più delicata e strategica di individuazione delle filosofie e dei modelli innovativi di intervento.
L’esistenza di procedere ad un confronto sistematico delle diverse politiche regionali costituisce, come abbiamo visto, uno dei presupposti insostituibili per la realizzazione di quella maggiore trasparenza conoscitiva che è indispensabile alla promozione di una operatività più adeguata del sistema di governo regionale considerato nel suo insieme.
Le dieci situazioni emblematiche prese in considerazione tra i risultati della ricerca costituiscono altrettanti:
– momenti di forte differenziazione dei comportamenti regionali che pur riguardano le medesime materie di governo;
– nodi problematici che investono il ruolo e le competenze dell’Ente Regione;
– sfide istituzionali di elevata complessità nel confronto con la nuova domanda sociale e nel raccordo operativo con gli enti locali;
– condizioni di stallo della valenza politica e culturale del settore socio-assistenziale sia nei riguardi di altri comparti della politica sociale (in particolare il sanitario) che rispetto allo scenario più generale della politica del Paese.
Verso la legge quadro: valutazioni e confronti delle normative regionali
Ma forse il tema più urgente, almeno nella percezione dei responsabili del settore, sul quale accelerare un processo di confronto e di omogeneizzazione delle diverse situazioni regionali resta tuttora quello normativo e ciò in funzione dell’assoluta improrogabilità del varo di una legge-quadro che, forse anche con una eccessiva enfasi, viene considerata come lo snodo decisivo del rilancio delle politiche socio-assistenziali.
All’analisi ed al confronto della normativa regionale è stato allora dedicato il primo capitolo di questo rapporto, cercando di adottare una procedura partecipativa e di stretta collaborazione con i responsabili istituzionali, da una parte; ma anche fortemente innovativa dall’altra.
Intanto il vasto materiale analizzando, circa 300 documenti che rappresentano la produzione normativa delle 20 Regioni italiane dai prima anni settanta al 31 dicembre 1986, si è potuto raccogliere grazie alla disponibilità degli Assessorati Regionali competenti.
In secondo luogo, l’indagine non si è limitata alla pura descrizione della normativa ma ha inteso far scaturire dal vaglio del materiale legislativo alcuni criteri di valutazione; vale a dire un giudizio di valore relativo alla potenziale capacità del singolo atto normativo di garantire un soddisfacente livello di realizzabilità all’obiettivo contenuto nella norma medesima.
Si tratta di uno sforzo importante teso ad indagare la capacità progettuale presente nello spirito del legislatore ed a verificare, quindi, quanta operatività potenziale è possibile trasfondere in una norma giuridica. È questo, a nostro avviso, un tentativo di fare un passo avanti in un’ottica di analisi dinamica della produzione legislativa orientata a valorizzare l’applicazione di criteri di valutazione quanto mai indispensabili oggi nei diversi livelli di approccio delle politiche sociali.